Al teatro India di Roma si sperimentano nuove relazioni e contaminazioni culturali, tra attori e spettatori e in questo caso tra tipologie di spettacolo un tempo dogmaticamente separate da barriere ”élitarie”. Lo spettacolo andato in scena questo week-end – con una trasposizione della domenica pomeriggio dedicata ad un pubblico di giovanissimi – ha voluto inserire la parte poetica, simbolica in poche parole non solo coreografica, della giocoleria, all’interno delle arti performative teatrali che non prevedono lo strumento del linguaggio verbale. Phia Ménard e il suo gruppo di tecnici e attori, ci ha regalato l’arte della giocoleria e delle arti performative mixate con pochi ma ben ”orchestrati”, strumenti tecnici. Il soffio vitale ed energico è un po’ il filo conduttore dei due spettacoli, uno più intenso e a tratti scioccante, l’altro più poetico e delicato: entrambi, anche nel titolo, richiamano appunto, anche con un gioco di parole, il concetto di soffio vitale e di vento come a significare che l’uomo ne è costantemente influenzato e trasportato. Gli strumenti tecnici, disposti in circolo tra il pubblico e l’attrice danno luogo ad effetti scenici semplici nel loro principio ”semovente” ma di grande impatto visivo ed emotivo il tutto accompagnato dal simbolismo delle musiche di Debussy reinterpretate da Ivan Roussel. Il simbolismo di Vortex si ravvisa nella trasfigurazione scenica del corpo stereotipato dell’uomo-maschio per culminare in donna-femmina e generatrice/genitrice; la trasfigurazione può però essere reinterpretata esattamente all’inverso perché il nucleo del messaggio sta proprio nell’irrilevanza che andrebbe data proprio al ”sesso” e all’opposto nella centralità della vera essenza dell’uomo, spogliato di tutti quegli orpelli ”volatili”, di tutte quelle maschere che sono dentro e fuori di noi, scelte o imposte che si sovrappongono lungo tutto il corso della vita. Phia gioca con questi simulacri danzanti, li riunisce come a volerli raggruppare in un unicum ordinato ma poi se ne sbarazza per poi combatterli nuovamente senza sosta. Alla fine è semplicemente la vita che ”vince”, ridotta alla sua essenza di corpo, di uomo o di donna che sia ma comunque, almeno esteriormente, mai liberamente scelto. L’attrice alla fine è quasi letteralmente nuda e in questa sua essenzialità e semplicità si concede poeticamente al pubblico dopo quella che è sembrata una vera propria lotta per una vita autentica. Il linguaggio del corpo e il simbolismo del gesto dell’attrice uniti alle musiche a volte ossessive nel loro ritmo quasi tribale, valgono più di mille parole in quello che appare a tutti gli effetti un tentativo improbo di dare un interpretazione possibile del nostro essere sulla terra.
”Vortex” e ”L’après-midi d’un foehn”
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Scritto da: stefano@piccabulla.it
Sociologo, progettista di formazione e formatore. Allievo e collaboratore di Pino Ferraris ha insegnato per 10 anni presso l'Università di Camerino nelle sedi di Camerino, Narni (TR) e Ascoli Piceno, occupandosi di Sociologia generale, del lavoro e dei beni culturali e ambientali. Qui ha portato avanti la prima applicazione in Italia di didattica in videoconferenza multiregionale (Roma, Camerino e Terni). Ha svolto numerose ricerche sul campo per enti pubblici e privati occupandosi di formazione, condizioni di studio e organizzazione del lvoro
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